40 milioni di finanziamento per la startup che crea droni intelligenti e autonomi
Dopo le batoste prese con l’impressionante serie di pasticci dell’industria americana dei droni, da 3DR Solo a Lily passando per il misero debutto del drone GoPro, gli investitori americani avevano cominciato a girare al largo dal settore. Ma l’entusiasmo pare tornato grazie a una startup creata da ingegneri fuoriusciti dal Project Wing di Google, altro clamoroso naufragio dei droni a stelle e strisce
Droni autonomi, guidati solo dall’intelligenza artificiale. Questa sembra la ricetta che piace al capitale di ventura statunitense, che scommette 40 milioni di dollari su Skydio, progetto creato da tre ex studenti del MIT dei quali due, il Ceo Adam Bry e il Cto Abraham Bachrach (il capo della sezione tecnologica) vengono dal Project Wing di Google, il drone per il delivery che doveva portare medicinali urgenti nelle zone rurali dell’Australia ed è finito col portare le birre alle feste degli studenti.
Il drone di Skydio non è stato ancora presentato al pubblico, ma chi l’ha visto sostiene che il cuore del progetto è un insieme di telecamere intelligenti controllate da una tecnologia di visionica proprietaria che gli permettono di evitare gli ostacoli e volare senza bisogno di un pilota. Con prestazioni decisamente interessanti, come si vede dal video qui sotto.
Non sono al momento ben chiari gli obiettivi industriali della startup americana, cioè se voglia vendere il drone intelligente di per sé o offrire sotto licenza la tecnologia sottostante ad altri produttori, o anche un mix delle due cose.
Quel che è certo è che il progetto ha conquistato il cuore, o meglio il portafogli, degli esperti di investimenti a rischio, che in un solo round di finanziamento hanno messo 40 milioni sull’azienda. E si preparano a salire fino a180 milioni, incoraggiati anche dal fatto che le stime più recenti indicano che quest’anno, per la prima volta nella storia, il settore dei droni varrà un miliardo di dollari, che in gran parte finiranno nelle tasche di DJI.
E agli americano questo smacco non va proprio giù.
I firmatari del testo spiegano che le autonomous weapons, o “armi autonome” sono dispositivi bellici in grado di scegliere e ingaggiare i propri bersagli senza la guida di un operatore umano. Non parliamo quindi di missili o droniteleguidati, ma di apparecchi che possono prendere decisioni autonomamente, e che potrebbero essere utilizzati per esempio per pattugliare una determinata area, e attaccare qualunque obiettivo (parliamo di persone ovviamente) che risponda a determinati criteri prestabiliti (abbigliamento, gruppo etnico di appartenenza, ecc…) che lo identifichino come nemico.
QUI SOTTO LA LETTERA APERTA
RESEARCH PRIORITIES FOR ROBUST AND BENEFICIAL ARTIFICIAL INTELLIGENCE
La ricerca sull’intelligenza artificiale (AI) ha esplorato una serie di problemi e approcci sin dal suo inizio, ma negli ultimi 20 anni circa è stata incentrata sui problemi relativi alla costruzione di agenti intelligenti – sistemi che percepiscono e agiscono in un determinato ambiente.In questo contesto, “l’intelligenza” è legata alle nozioni statistiche ed economiche di razionalità – colloquialmente, alla capacità di prendere buone decisioni, piani o inferenze.L’adozione di rappresentazioni probabilistiche e decisionali e metodi di apprendimento statistico ha portato ad un ampio grado di integrazione e cross-fertilizzazione tra AI, apprendimento automatico, statistica, teoria del controllo, neuroscienza e altri campi.L’istituzione di quadri teorici condivisi, combinati con la disponibilità di dati e potenza di elaborazione, ha prodotto notevoli successi in varie attività come il riconoscimento vocale, la classificazione delle immagini, i veicoli autonomi, la traduzione automatica, la locomozione a gambe e i sistemi di risposta alle domande.
Poiché le capacità in queste aree e in altri attraversano la soglia dalla ricerca di laboratorio a tecnologie economicamente valide, si impone un ciclo virtuoso in cui anche piccoli miglioramenti nelle prestazioni valgono ingenti somme di denaro, il che comporta maggiori investimenti nella ricerca.Vi è ora un ampio consenso sul fatto che la ricerca sull’IA sta progredendo costantemente e che il suo impatto sulla società è destinato ad aumentare.I potenziali benefici sono enormi, poiché tutto ciò che la civiltà ha da offrire è un prodotto dell’intelligenza umana;non possiamo prevedere cosa potremmo ottenere quando questa intelligenza è amplificata dagli strumenti che l’IA può fornire, ma l’eliminazione della malattia e della povertà non sono insondabili.A causa del grande potenziale dell’IA, è importante ricercare come trarne i benefici evitando potenziali insidie.
I progressi nella ricerca di intelligenza artificiale rendono puntuale la ricerca non solo per rendere l’intelligenza artificiale più capace, ma anche per massimizzare il beneficio sociale dell’IA.Tali considerazioni hanno motivato il pannello presidenziale AAAI 2008-09 sui Futures AI a lungo termine e altri progetti sugli impatti dell’AI, e costituiscono una significativa espansione del settore stesso dell’IA, che finora si è concentrato in gran parte su tecniche che sono neutrali rispetto a scopo.Raccomandiamo una ricerca ampliata volta a garantire che sistemi IA sempre più efficienti siano solidi e vantaggiosi: i nostri sistemi IA devono fare ciò che vogliamo che facciano.Il documento sulle priorità di ricerca allegato fornisce molti esempi di tali orientamenti di ricerca che possono aiutare a massimizzare il beneficio sociale dell’IA.Questa ricerca è per necessità interdisciplinare, perché coinvolge sia la società che l’intelligenza artificiale.Si va dall’economia, dalla legge e dalla filosofia alla sicurezza informatica, dai metodi formali e, naturalmente, dalle varie branche della IA stessa.
In sintesi, crediamo che la ricerca su come rendere i sistemi IA robusti e benefici sia importante e tempestiva, e che ci siano direzioni concrete di ricerca che possono essere perseguite oggi.
Non ci sarà solo il drone di Amazon a portarti a casa le merci che hai comperato in rete, potrebbe arrivare un poliziotto drone un proiettile drone e noi qui ci arrampichiamo sugli specchi da anni “sull’invasioni dei popoli africani o dei poveri del mondo”…
Se usato diversamente sarebbe comunque un danno?
Personalmente preferirei vedere sole api selvatiche o mielifere vere scusate se è poco…
Gli studiosi hanno incollato al dispositivo volante una striscia di crine di cavallo (per simulare la peluria delle api) imbevuta con un gel liquido ionico, grazie al quale il drone afferra e rilascia i granuli di polline. L’esperimento è stato effettuato in laboratorio, con dei gigli giapponesi e l’impollinazione ha avuto successo. Questione di fortuna? In questo caso, il bersaglio era facile perché i gigli hanno organi molto sporgenti, mentre per impollinare altre piante servirebbero droni più sofisticati, dotati di fotocamere ad alta risoluzione, GPS e tecnologie di intelligenza artificiale. Inoltre, all’aperto le condizioni meteorologiche potrebbero intaccare la buona riuscita dell’impollinazione.
Per quanto riguarda il liquido che è stato utilizzato, gli scienziati dicono di averlo scoperto per caso: un giorno, mentre facevano le “pulizie di primavera” in laboratorio, hanno messo gli occhi su un gel che avevano utilizzato otto anni prima e che era rimasto intatto. Le particolari caratteristiche di questa sostanza li hanno convinti a utilizzarla per la loro ricerca. Per il drone, invece, hanno utilizzato un modello in scala ridotta con quattro eliche, con un costo accessibile che si aggira intorno ai 100 dollari.