10/17 OTTOBRE 2015 SETTIMANA EUROPEA DI MOBILITAZIONE STOP TTIP
Dal 10 al 17 ottobre in tutta Europa si celebra la Settimana europea di mobilitazione Stop TTIP (l’accordo di libero scambio e investimenti tra Unione Europea e Stati Uniti), ma che si pone l’obiettivo di accendere i riflettori anche sul TPP (il trattato di libero commercio e investimenti transpacifico tra Stati Uniti, Canada e vari Paesi asiatici), il TiSA (il negoziato di liberalizzazione dei servizi, che tocca molti settori) e il CETA (il trattato di libero scambio e investimenti tra Canada e Unione Europea.
PURTROPPO STAMATTINA 5 OTTOBRE da LaRepubblica:
– I lavori per il Ttip, l’accordo di libero scambi tra l’Unione europea e gli Stati Uniti, procedono al rilento. Gli Usa, però, possono consolarsi con l’intesa raggiunta questa mattina con 11 Paesi del Pacifico sul Trans-Pacific Partnership (Tpp) dopo 9 giorni di intense trattative. L’intesa abbatterà le barriere al commercio e – secondo i negoziatori – aumenterà il lavoro e gli standard ambientali tra le nazioni che rappresentano circa il 40% della produzione economica mondiale. L’accordo dovrà essere approvato ora dal Congresso Usa e dai rispettivi governi degli altri 11 Paesi.
Tra i paesi asiatici è coinvolto il Giappone, ma non la Cina. L’ultima disputa risolta ha riguardato la protezione di brevetti farmaceutici, sulla quale insistevano gli americani. Trattative difficili sono inoltre avvenute sul settore auto, sui latticini e in generale sulla proprietà intellettuale. L’accordo alla fine apre mercati agricoli di Canada e Giappone e rende più severe la norme sui brevetti a vantaggio di società farmaceutiche e tecnologiche. Soprattutto crea un blocco per contenere la crescente influenza economica della Cina nella regione. Il patto rappresenta una sofferta vittoria per il presidente americano Barack Obama, che ne aveva fatto una priorità sfidando l’opposizione di esponenti del suo stesso partito democratico.
Non tutti, però, sono entusiasti dell’accordo. E in molti già denunciano che il libero scambio distruggerà posti di lavoro anziché crearne di nuovi. Nel dettaglio, l’accordo sul Tpp prevede l’eliminazione delle barriere tariffarie e non-tariffarie e l’adeguamento degli standard commerciali in una vasta area dell’Asia-Pacifico, associando l’economia statunitense a quella di altri undici Paesi: Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam.
Obama però esulta: “Ho passato ogni giorno della mia presidenza a combattere per far crescere la nostra economia e rafforzare la classe media. In un momento in cui il 95% dei nostri clienti vivono fuori dai confini degli Stati Uniti, non possiamo far scrivere a paesi come la Cina le regole dell’economia globale. Dobbiamo scrivere queste regole, aprendo nuovi mercati ai prodotti americani e allo stesso tempo fissare alti standard per proteggere i lavoratori e conservare il nostro mercato”. Poi il presidente ha aggiunto: “questo è quello che l’accordo raggiunto oggi ad atlanta farà”.
Rampini
Tpp o Ttip? Attenzione alle sigle, segnalano una sfasatura nei tempi e nei dibattiti. In America al momento si parla del primo: Trans Pacific Partnership. Riguarda i paesi dell’Asia-Pacifico, con i due pesi massimi che sono Stati Uniti e Giappone, ma senza la Cina. È il primo in dirittura di arrivo. Per il Tpp Obama ha già ottenuto al Congresso il “fasttrack“: la corsìa veloce che consente un’approvazione rapida perché i parlamentari possono votare solo sì o no all’intero pacchetto, senza emendamenti su singoli aspetti. Obama ha ottenuto il “fast-track” grazie ai voti dei repubblicani, tradizionalmente liberisti. Non avrebbe mai avuto la maggioranza dei democratici. La sinistra del suo partito, gli ambientalisti, i sindacati, le organizzazioni della società civile come MoveOn, 350. org, Courage Campaign, Corporate Accountability, Democracy for America, continuano a battersi per far deragliare questo accordo: si moltiplicano le petizioni popolari, i sit-in davanti al Congresso e agli uffici dei singoli deputati e senatori.
Il 10 OTTOBRE IN TUTTA EUROPA CELEBRIAMO UNA GIORNATA STOP TTIP
Si svolgeranno eventi delocalizzati nella maggior parte dei Paesi dell’Unione. La più grande manifestazione è attesa a Berlino (e il Comitato Stop TTIP Bolzano parteciperà a quella mobilitazione), ma c’è bisogno che anche in moltissime città italiane si svolgano iniziative di informazione e mobilitazione.
Dal 15 al 17 ottobre a Bruxelles, insieme ai movimenti europei contro l’austerità, molte associazioni che si battono contro il TTIP protesteranno contro il Vertice europeo mentre il 14 ottobre negli Usa si celebrerà una giornata d’azione sull’impatto dei cambiamenti climatici.
I COMITATI STOP TTIP ITALIA RACCOGLIERANNO LE FORZE E LIBERERANNO LA CREATIVITA’! E’ importante segnalare via email a CAMPAGNASTOPTTIPITALIA@GMAIL.COM le iniziative che verranno promosse, e che verranno caricate mano a mano in una pagina dedicata del sito
IL 6 OTTOBRE CHIUDE LA PRIMA FASE DELLA RACCOLTA DELLE FIRME STOP TTIP. IL TRAGUARDO DEI 3 MILIONI NON E’ LONTANO: ACCELERIAMO! Firmate e fate firmare all’indirizzo https://stop-ttip.org
LA RACCOLTA FIRME, COMUNQUE, CONTINUERA’ per dimostrare a chi manovra il trattato che il dissenso continua a crescere.
L’idea creativa che questa volta condividiamo con le associazioni europee è “AFFARI SPORCHI”. business men & women compariranno in strada a svendere acqua, sanità, cibo, diritti.
A questo link https://www.trade4people.org/ potete trovare le attività previste in Europa. Siete invitati a segnalare tutte le vostre iniziative aggiungendole alla mappa (cliccando sul simbolo “+”). La traduzione del sito in italiano è pronta, sarà presto online.
ADOTTA UN PARLAMENTARE
E’ importante che i Parlamentari europei e nazionali eletti nel nostro territorio sappiano che ci stiamo mobilitando. Scriviamogli, invitiamoli; teniamoli aggiornati su email, facebook e twitter… ci faremo sentir tanto anche nei prossimi mesi.
E’ abbastanza evidente che i nostri diritti democratici, la sovranità alimentare, l’occupazione e l’ambiente sono sotto attacco su tutti i fronti geografici e tematici, quindi è il momento di spingere sull’acceleratore della mobilitazione.
Come sappiamo bene, tutto ciò che ha impedito che questi mostri viaggiassero leggeri e in larga parte sotto silenzio verso una comoda approvazione è in gran parte dipeso dalla responsabilità e l’impegno di persone come tutte e tutti noi, che hanno deciso di non obbedire, informarsi, e dare battaglia politica e culturale all’equazione più commercio=più benessere per tutti. Quindi…
«I nostri standard possono differire in qualche dettaglio, ma quelli che stiamo cercando di armonizzare sono sostanzialmente equivalenti». Queste affermazioni sono uscite dalla bocca di Gloria Bergquist, portavoce dell’Alliance of Automobile Manifacturers (AAM), il 18 dicembre 2013. Servivano a lanciare una ricerca internazionale che confermasse la sostanziale equivalenza degli standard di sicurezza dei veicoli progettati sulle due sponde dell’Atlantico.
Alla lobby dell’automotive serviva una risposta positiva, che motivasse le enormi pressioni sulle autorità di regolamentazione per giungere al più presto ad un mutuo riconoscimento degli standard all’interno del negoziato TTIP. Eradicato ogni ostacolo, i costruttori avrebbero risparmiato centinaia di milioni di dollari che oggi impiegano per adattare le vetture ai parametri richiesti in Europa per icrash test.
L’AAM – che rappresenta i principali colossi dell’automotive, tra cui Chrysler, Toyota e Volkswagen – ha chiesto l’aiuto dei due migliori centri di ricerca al mondo nel settore: il Transportation Research Institute dell’Università del Michigan e il SAFER Vehicle and Traffic Safety Centre della Chalmers University of Technology di Göteborg. Sono stati coinvolti anche esperti francesi del Centre Européen d’Etudes de Sécurité e del Transport Research Laboratory britannico.
La ricerca si è conclusa nel 2015, ma i risultati non sono mai stati presentati. Forse perché raccontavano una realtà completamente diversa rispetto a quella su cui scommettevano le imprese. Invece di certificare l’equivalenza fra le due normative di sicurezza, rilevano differenze sostanziali e, se diffusi, potrebbero ostacolare il tentativi di armonizzazione che il TTIP intende realizzare nel settore automotive.
La ricerca ha stabilito che le automobili americane sono molto meno sicure in caso di incidenti gravi. In particolare, gli esperti hanno scoperto che i passeggeri di un’auto costruita in Ue sono il 33% più sicuri in casi di scontro frontale.
András Bálint, dell’Università di Göteborg, uno degli autori della ricerca, ha dichiarato all’Independent: «I risultati del nostro studio indicano che vi è attualmente una differenza rispetto al rischio di lesioni in un incidente tra auto europee e modelli americani. Pertanto, sulla base di questi risultati, il riconoscimento immediato dei veicoli americani in Europa potrebbe potenzialmente provocare unmaggior numero di incidenti mortali o con feriti gravi».
Secondo il Consiglio europeo per la sicurezza dei trasporti (ETSC) – organizzazione che svolge attività di consulenza per la Commissione e il Parlamento europeo – questi dati sono la prova che gli standard di sicurezza dei veicoli non possono essere inclusi nel TTIP in questa fase.
Nessuno dei colossi dell’industria ha commentato i risultati, che sono pubblicati solo sul sito web dell’Università di Michigan.
Per il vice ministro allo Sviluppo economico (e alfiere del TTIP in Italia), Carlo Calenda, quello automobilistico è un comparto chiave da armonizzare: stando a quanto ha detto alla Reuters lo scorso 16 luglio, c’è già una «convergenza su sei o sette settori che sono fondamentali, dall’automotive alla chimica, e una serie di aperture di mercato mirate, che vanno dal buy Americaall’indicazione geografica, almeno in una prima bozza di accordo».
Sapendo che un mutuo riconoscimento degli standard potrebbe aumentare il numero dei morti sulle strade, ripeterebbe le sue affermazioni?
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Uruguay dice NO agli USA: L’Uruguay si ritira definitivamente dai negoziati per il TISA (Accordo di Liberalizzazioni del Commercio e Servizi), promosso con vigore dagli USA. In caso di conflitto tra uno Stato e una banca o multinazionale, chi ha fatto l’investimento può portare in tribunale internazionale un Paese, che agisce non in base alle leggi della nazione in cui si sono effettuati gli investimenti. Secondo il senatore dell’Uruguay Alberto Couriel “proprio questo è l’elemento che blocca definitavemente l’accordo, ed è tipico di ogni trattato di di libero commercio e protezione degli investimenti”. Il senatorre uruguayano aggiunge che ·dopo la crisi finanziaria del 2008, molti Paesi cominciarono a regolamentare i servizi finanziari, però con il TISA diventa impossibile, o meglio: è probito farlo”.
l’EX PRESIDENTE MUJICA HABÍA NEGOCIADO SECRETAMENTE EL TRATADO LIBERISTATISA CON ESTADOS UNIDOS ….
R. Zibecchi :
Con un forte protagonismo del ministro dell’economia, Danilo Astori, fino ai primi giorni di agosto il governo uruguaiano stava negoziando la sua partecipazione al Trade in Services Agreement (TISA) – che serve a de-regolamentare servizi e commercio – e si preparava ad approvare il bilancio quinquennale, malgrado la resistenza di alcuni sindacati, in particolare quelli dell’educazione. Il presidente Tabaré Vázquez esercitava
“un tipo di leadership quasi monarchica”, nella felice espressione dello storico Gerardo Caetano (Brecha, 4/9/15).